100% Arti Marziali Intervista al Maestro

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Breve intervista a Roberto Granati della palestra Taki no kan Verona
Roberto Granati Buon giorno M° Roberto Granati, grazie per averci concesso una breve intervista. Buongiorno a Lei

100ma.it: - Dove nasce la sua passione per le arti marziali e cosa ha spinto a dedicarsi al "Jiu Jitsu"?
Roberto Granati: Ho praticato arti marziali sin da quando ero bambino e come per molti altri il judo è stata la prima esperienza. Quando avevo 17 anni nacque in me il desiderio di apprendere il jujutsu. Mio padre, che era un ufficiale dei paracadutisti, aveva nel passato promosso un corso all'interno della Brigata Folgore e proprio di quest'arte mi aveva sempre parlato. Una brutta esperienza passata poi durante un periodo di studio in Inghilterra mi aveva spinto a cercare qualcosa che potesse farmi sentire più sicuro. Scoprii che in una palestra vicina a casa mia si praticava il Ju Jutsu e così cominciai. Al tempo non sapevo che avevo iniziato ad apprendere una koryu (scuola antica), il Daito Ryu Aikijujutsu, ma successivamente "questo" divenne una passione talmente forte che dedicai tutti i giorni della settimana alla pratica. Il grande impegno messo nello studio di tale disciplina mi ha portato a comprendere in seguito il vero obbiettivo di un'arte marziale: quello della crescita interiore. L'apprendistato tecnico ha così coinciso con una maggiore capacità di autocontrollo e sviluppo della mia personalità in senso positivo.

100ma.it: - La sua più grande soddisfazione legata alle arti marziali?
Roberto Granati: Sono molti i motivi di soddisfazione: in primo luogo la passione messa dagli allievi e l'appagamento constatando la qualità della loro pratica durante stage internazionali. A livello emotivo però non posso non ricordare che alcuni allievi, afflitti da problemi di varia natura, hanno trovato nella pratica della mia disciplina un modo per superare handicap o seri problemi personali. In quei momenti ho potuto constatare che il mio lavoro può fare del bene al prossimo e ciò mi ripaga anche delle mille fatiche e delle naturali amarezze o invidie altrui.

100ma.it: - Come è cambiato o come si è evoluto il suo modo di praticare arti marziali nel tempo?
Roberto Granati: E' cambiato in senso tradizionale. L'impostazione di ricerca data dalla mia specializzazione di storico del Giappone feudale, mi ha spinto anche a ricercare con maggiore professionalità l'origine di ciò che pratico, sia esso il Seifukai Daito Ryu Aikijujutsu, il Katori Shinto Ryu o il Gyokushin Ryu jujutsu. Oggi cerco di comprendere l'evoluzione delle tecniche che studio e capire quali siano stati gli sviluppi didattici che hanno condotto queste eredità del passato ai giorni nostri. In un mondo marziale decisamente proiettato verso la titolarietà, le "guerre di religione" tra scuole, i proclami di unicità di una determinata disciplina, ho smesso di accanirmi per denunciare forzature. Preferisco dedicarmi alla pratica e lasciare ad altri le parole. Insomma parlare meno con gli slogan e più con il lavoro e i fatti

100ma.it: - A chi consiglierebbe la pratica delle arti marziali?
Roberto Granati: A tutti. L'unica limitazione per la pratica del Budo è solo nell'impegno. Non esistono discipline serie che si imparano in poco tempo. Se si vuole comrpendere una qualsiasi scuola c'è bisogno di impegno e tanto, tanto studio. Le scorciatoie nelle arti marziali non esistono e chi le proprone lo fa sempre in malafede.

100ma.it: - Chi è il suo punto di riferimento?
Roberto Granati: Luigi Carniel Sensei, eclettico Maestro svizzero, fondatore 40 anni fa dell'Academiè Neuchateloise des Arts Martiaux Japonaise, il quale per molti lustri studiò in Giappone con alcuni dei più grandi docenti di tutti i tempi, primo fra tutti Mochizuki Minoru Sensei, altra fonte di ispirazione per me. Carniel Sensei rappresenta, oltre che una figura paterna, un modello di moderno bushi, legato a valori morali che condivido. Sicuramente figura per molti scomoda, vista la sua totale avversione per qualsivoglia forma politica delle arti marziali e per la sua abitudine a dire con sincerità sempre ciò che pensa, caratteristica che condivideva proprio con Mochizuki Minoru Sensei. Neppure tra i tanti Maestri Giapponesi con i quali ho avuto l'onore di studiare, ho mai trovato una qualità tecnica e umana così cristallina. Non è un caso che da quasi dieci anni sia il mio Maestro.

100ma.it: - In un caso reale, secondo lei, le sue arti marziali sono efficaci e perché?
Roberto Granati: L'arte marziale non garantisce mai l'invulnerabilità. Nessuna disciplina può farlo, perchè alla fine ciò che fa la differenza è la persona, non la tecnica. L'arte marziale però, se studiata correttamente, permette di sviluppare quelle istintive reazioni che possono fare la differenza in caso di necessità. Come diceva sempre Mochizuki Minoru Sensei parlando del jujutsu, bisogna allenarlo sempre non dimenticando mai due assiomi fondamentali: "efficacia e realtà". Nel nostro piccolo cerchiamo di fare tesoro di questo insegnamento.

100ma.it: - Ha un consiglio da dare a chi pratica Jiu Jitsu o in generale arti marziali?
Roberto Granati: Non considerarsi mai arrivati. In questi tempi sento spessissimo parlare di presunti capiscuola autoproclamatisi tali e che si ritengono giunti alla fine del loro percorso marziale. Personalmente ritengo che queste persone pecchino di presunzione, come pure coloro che si arrogano il diritto di sostenere che di una certa tradizione marziale sia possibile prendere solo ciò che ritengono "utile". Tutte le discipline tradizionali che sono giunte a noi sono il risultato di secoli di "selezione naturale" pagata anche a caro prezzo da coloro che ci hanno preceduti. Se non comprendiamo una tecnica, è nostro compito studiarla con maggiore impegno perchè molto probabilmente non è la tecnica che non funziona, bensì noi che non siamo ancora sufficentemente preparati per poterla compenetrare e applicare. Un'ultima nota. Ogni scuola, se ha una sua storia e una sua chiara origine, è degna di essere studiata e preservata. Se qualcuno ha il piacere di apprendere più scuole, questo deve avvenire sempre tenendo separate tali tradizioni. Noi siamo infatti solo un anello di una lunga catena e nostro dovere è fare sì che tale trasmissione possa arrivare alle successive generazioni così come ci è stata ritrasmessa.

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